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cultura e società

Fontana della Guarda


Un blocco unico di pietra delle dimensioni di m 3,70×1,55×0,90 circa, del peso di 14 tonnellate al momento dell’estrazione e di 6 tonnellate e mezzo una volta scavato. Anche utilizzando leve metalliche e tronchi sui quali far scivolare il masso, è difficile da spostare, eppure deve essere stato spostato per piazzarlo esattamente sotto una delle poche sorgenti del Monte Summano nel territorio di Piovene.

Questa è la fontana della Guarda. Partendo da una ricerca storica il dott. Renato Grotto ha ricostruito la storia della fontana restituendoci uno scorcio di vita di Piovene, un paese diviso tra gli originari che qui abitavano da generazioni e i foresti che arrivavano attratti dalla possibilità di lavorare nella fiorente attività delle cave di pietra. Oggetto di contendere era la cittadinanza e, con questa, il diritto all’utilizzo dei beni comuni, ovvero boschi pascoli campi irrigui.

La Warda o Guarda

Localizzazione fontanaPartiamo dalla località. La Fontana della Guarda si trova in via del monte a sud del centro cittadino lungo una strada che ora è a fondo cieco, ma un tempo conduceva a Santorso seguendo la base del monte. I toponimi dicono qualcosa e il toponimo Guarda (1) deriva dal termine longobardo Warda che è di origine longobarda (ward), indica un posto di guardia, soprelevato, destinato al controllo del territorio; in particolare qui, poco sopra, sorgeva Castel Pelucca, forse un antico castelliere. Da “Warda“, poi “Varda“, deriverebbe il termine guarda, donde il verbo italiano e l’origine dialettale del “vardare”.

E’ probabile che in epoca longobarda i posti di osservazione fossero collegati tra loro e formassero una vera e propria rete di controllo del territorio.

Una possibile ricostruzione è indicata nella mappa sottostante.Castellieri valle Astico

La fontana

Fontana pianta Un bel blocco di pietra di Piovene rozzamente scolpita, ma ancora in efficienza, i bordi verso strada erano rovinati e sono stati rifatti sostituendo il margine deteriorato con porzioni ben incastrate. Lo spigolo a destra in corrispondenza del troppo pieno è stato sostituito e, per assicurare il collegamento, è stato unito alla vasca con due chiodi ben ribattuti. Le dimensioni e il peso li abbiamo già detti in premessa, aggiungiamo che contiene circa 2.600 litri dell’acqua che sgorga saltuariamente dalla sorgente della Guarda.

Pesava troppo quella pietra per venire da lontano e infatti lì vicino c’erano le cave dei Morèti dove veniva praticata l’attività della pietra. (vedi gli articoli sulla Pietra di Piovene)Fontana sezione Sulla parete verso strada una croce incisa spartisce le cifre della data 1634. Poco sopra, poco visibili, le lettere C D. In queste scritte c’è la storia della fontana e un pezzo di storia della Piovene del Seicento.

Un po’ di storia

Che li ci fosse una sorgente è testimoniato da una mappa del 1605. La mappa riporta la dicitura “fontanella in contrà alla mare” e indica i fondi irrigati. Le acque della fontanella si sommano a quelle che provengono dalla fontana del Maretòn poco più a sud e irrigano una lunga fila di campi coltivati, leggiamo qualche nome: Li campi della mare dell’Ill. Sr. (signor) Giulio Bonifacio, l’Ill. Co. (conte) Odorico Capra, Battista Borriero, Stefano Mozzo, Bastian Mozzo, m. (messer) Francesco Lievore,, Stefano Grotto ed il S.r Sartorio Verlato, … l’acqua supera il punto con la scritta “questa crosera è il confin de Piovene” e giù a scendere fino ai terreni dei SS.ri Verlati dove l’acqua sembra disperdersi. Una cosa è sicura: nel 1600 l’acqua non mancava se era in grado di irrigare tutti quei campi (2).

Natale 2011

particolare della mappa del 1605

particolare della mappa del 1605

Acqua preziosa quando il territorio era campagna e i prodotti agricoli facevano la ricchezza delle famiglie. Piovene contava allora un centinaio di capifamiglia e sette ottocento anime. Si disputavano risorse scarse come l’acqua i boschi e i prati comuni. Vi erano patti ancestrali che legavano tra loro gli originali o oriundi, come talvolta si chiamavano. Questi patti ancestrali avevano portato a definire le punizioni per chi non rispettava le regole: tre lire piccole per il taglio della legna, il pascolo, la fienagione e il taglio dell’erba. Il pascolo abusivo veniva punito con una multa di una lira e dieci soldi per ogni bestia trovata a pascolare, ma se invece di cavalli, asini o mucche si portava a pascolare abusivamente una capra, la multa era ridotta. I Governatori del Comun sorvegliavano e applicavano le sanzioni. Ma a scombussolare la vita pacifica dei piovenesi del XVI secolo era arrivata la pietra, una pietra famosa da quando il Palladio l’aveva richiesta per le logge della basilica di Vicenza. Ora le cave lavoravano molto più di prima, c’era bisogno di lavoranti, scalpellini e manovali, tutta gente che vuol venire a Piovene. “Troppi foresti” avranno pensato i vecchi,”tutti giovani che vengono chissà da dove e vogliono stare qua senza averne il diritto“. Difficile opporsi al “progresso”, in fondo anche i proprietari di cave erano piovenesi, allora tocca regolamentarlo.

Come si diventava cittadini

Verso la fine del Cinquecento la Convicinìa Generale dei capi famiglia e i Governatori prendono una decisione: possono godere di alcuni diritti dei piovenesi anche i foresti che abbiano abitato stabilmente a Piovene per almeno 10 anni. Chi non ha i requisiti può ancora diventare cittadino di Piovene per via d’Accordo: la cittadinanza si paga con una somma in denaro o con un’opera di rilevante utilità (3). Così veniamo a conoscenza che nel 1607 alcuni lavoratori hanno acquisito il diritto di pascolare il bestiame, ma non il diritto di far legna, fieno e tagliare l’erba. A metà del 1600, con la mediazione del cappellano Giacomo Mantese una trentina di forestieri pattuisce una somma di 175 ducati (5-6 per famiglia) per divenire “Terrieri in Commun con tutti i privileggij e beneficij che gode detto Comune“. Ma la somma è probabilmente troppo bassa e non viene accettata. Nel 1662 Andrea Fracassi con i fratelli e Giacomo Caneva da Rovegliana acquisiscono il beneficio di pascolar e boscar al prezzo di 25 ducati per famiglia.

La fontana è il prezzo d’Accordo?

Sembrerebbe di si. Intanto la data apposta sul fronte (1634) colloca la pietra nel bel mezzo delle dispute tra originariforesti. Don Egidio Mozzi, storico piovenese dell’ottocento, parlando della fontana della Guarda dice

I forestieri che volevano essere aggregati ai Comunisti originarij … è tradizione che dovessero eseguire qualche opera, a prova del loro ingegno e dell’arte che professavano. Il parapetto della fontana alla Guarda, si dice fatto ed eseguito da un Chioccarello tagliapietre in quell’occasione, e in obbedienza allo Statuto del Comune

Infine ci sono due lettere ai lati della croce scolpita: C e D. Tra i novantadue capifamiglia che intervengono in una Convicinìa del 1682 (4), come riportato in un manoscritto originale del tempo, figura anche un certo Dominicho Chiocharello, unico presente con quel cognome e ormai conteggiato tra i capifamiglia di Piovene. Natale 2011Nella foto soprastante si intravvede la croce, ai lati del braccio minore la data è spartita a destra e sinistra. In alto si nota un “rappezzo” che lambisce la croce, a destra e sinistra appena riconoscibili una C e una D.

Il buso della Guarda

La fontana prende acqua da un un lungo condotto scavato nel monte. E’ una delle poche sorgenti in territorio di Piovene e fa parte, assieme alla fontana della piazzetta e alla fontana de sòra, dell’acquedotto cinquecentesco. Il condotto era crollato e la fontana coperta dalle erbacce a abbandonata quando, nel 2004, La Comunità Montana Leogra-Timonchio ne finanziò il restauro. Il vòlto venne ricostruito e il CAI grotte esplorò il cunicolo, restituendo una prima mappa di questa grotta.

buso della Guarda

A chi entra appare evidente che la grotta per secoli ha visto scorrere l’acqua. Il pavimento è ricoperto da un diffuso strato di calcare di diversi centimetri. Ma di acqua, durante i sopralluoghi, nessuna traccia. Al momento del sopralluogo la fontana è asciutta, non si sente rumore di scorrimento d’acqua nemmeno in altri strati o cavità vicine e non è quindi possibile riportare l’antica fonte all’alveo originario. Nei periodi invernale e primaverile l’acqua arriva in grotta probabilmente filtrata dal terreno soprastante e attraverso uno sbocco ormai franato, situato ad una ventina di metri dall’ingresso.

La cavità presenta una prima parte artificiale, lunga una trentina di metri: le pareti sono ricoperte da uno strato di malta e il soffitto ha una forma arcuata. In corrispondenza della fine della parte artificiale. Successivamente la grotta si restringe e svolta a sinistra, facendosi stretta. Si arriva infine ad una stanza di circa 15-20 metri quadri, alta circa 5 metri. Dal soffitto parte un camino verticale che è percorribile solo per alcuni metri, finché si restringe del tutto, impedendo il passaggio. Nel tratto terminale qualcuno, che ha scordato gli attrezzi sul posto (una leva, una mazzetta ed uno scalpello in evidente stato di degrado) ha tentato dì scavare. Le pietre asportate giacciono ancora sul fondo della stanza.

Il Buso della Guarda, come viene battezzato dal Gruppo Grotte di Schio, si sviluppa complessivamente per 62 metri di lunghezza.

Storia e storie

Graffiti

graffiti nel “buso della Guarda”

Nella grotta, nel punto del probabile ingresso della galleria originaria, sono stati rinvenuti dei graffiti: un disegno che rappresenta un uomo ed un animale, forse un bovino, con dei numeri o lettere (X I I e, più sotto, una V rovesciata con un 1) Pochi metri dopo, sulla destra, il disegno di un uomo stilizzato e sotto un segno (doppia T). A quando risalgono?

La mappa del 1605 già citata riporta una fonte in quella località e probabilmente esisteva un manufatto preesistente, una conca per raccogliere l’acqua prima che arrivasse alla canaletta che irrigava i campi.

Ma la fontana è legata a storie e leggende che risalgono a tempi indefiniti. Si racconta di un maiale sfuggito al proprietario che si era infilato nella grotta di Bocca Lorenza a Santorso. Questo maiale dopo tanto vagabondare nel ventre della montagna, sarebbe uscito proprio dalla grotta della fontana della Guarda.

AnguanaEra anche detta la fontana delle anguàne (5). Questo nome è però condiviso con gran parte delle fontane dell’alto vicentino e del triveneto. Le anguàne sono esseri mitologici e acquatici, legati alla tradizione orale. Si tratta di figure femminili giovani e dai lungi capelli (ma talvolta apparivano come vecchie streghe). Frequentavano sorgenti e fontane. Un tempo il perenne gocciolare delle fontane accompagnava le notti. Nelle veglie o negli improvvisi risvegli il rumore sembrava prendere forme inconsuete e affacciandosi alla finestra si potevano vedere donne lavare a ore insolite. Qualcuno riferiva di vedere le anguàne portare l’acqua con sporte di vimini (6).

fontana della Guarda

fontana della Guarda

Sono tante le storie che una fontana ci può raccontare.

Si ringrazia il dott. Renato Grotto per averci messo a disposizione il suo studio. Lo pubblichiamo in appendice

NOTE

(1) Il toponimo Warda (o Varda) non è unico. A Cogollo del Cengio vi è un pra’ della Varda (sotto la chiesa vecchia) in posizione panoramica, Altri toponimi si riscontrano a Sospirolo (BL),  a S. Stefano di Cadore (BL), a Brugnera (PN), a Bedollo (TN), altri “Varda” si riscontrano in Piemonte. Se estendiamo la ricerca ai toponimi italianizzati “Guarda” li troviamo a Pergine (TN) in provincia di Rovigo e Ferrara, ecc

(2) Si ringrazia Romano Borriero per la trascrizione corretta delle proprietà.

(3) Conosciamo queste regole perché scritte in un atto rogato dal notaio Stefano Grotto il 2 febbraio 1597 (vedi lo scritto di R. Grotto)

(4) 48 anni dopo la costruzione della fontana

(5) Delle anguane e degli esseri fantastici ha parlato Giuseppe Rubini in G. RUBINI, Acqua magica. Immaginario fantastico popolare e anguàne a Piovene e nelle zone limitrofe, in Acqua e terra della Val Leogra, Sentieri culturali Schio, 2003.

(6) La tradizione delle anguàne si estende a tutto il nord Italia essendo condivisa in Lombardia Trentino, Friuli. Ha anche una tradizione scritta, lo si può trovare nel De Ierusalem celesti, opera scritta da Frate Jakomin da Verona (Giacomino da Verona) nel XIII secolo; le anguane sono presenti nella antichissima Saga dei Fanes, racconto mitologico delle Dolomiti, conosciuto soprattutto nella versione scritta da Karl Felix Wolff nel 1932. Si veda in proposito http://it.wikipedia.org/wiki/Anguana


APPENDICE

Renato Grotto LA FONTANA DELLA GUARDA Vicende di costume e vita piovenese all’inizio del 1600.

Comunità Montana Leogra-Timonchio – Schio 2004

Scritto inedito

Le pietre raccontano

Prima sfuggiva anche ai passanti meno distratti. Abbandonata ad un inevitabile destino giaceva sommersa dalle erbe i. Le pietre centenarie della volta cadute o pencolanti. L’acqua ormai scarsa. “Prima del terremoto del Friuli, quello del ’76, ce n’era di più” diceva la gente del posto. Dopo sì è persa la vena, e ora c’è acqua solo. in primavera, quando piovuto molto. Ma un tempo, come attorno a tutte le fontane, anche lì quei muri e quelle pietre sono stati testimoni di tante storie. Attorno all’acqua si svolgeva la vita dono prezioso per animali e uomini E anche li assieme all’acqua sono scorse le umane vicende. Storie di fatiche, tribolazioni, sofferenza e conflitti. Ma storie vere.

La Fontana della Guarda, giaceva lì, un po’ in disparte dimenticata dai più.

Ma come a volte accade, quasi per miracolo, dopo il lavoro sapiente del recupero, ecco riemergere sotto la polvere e la vegetazione dei luoghi abbandonati, qualcosa di ancora straordinariamente suggestivo.

Una storia di quasi quattrocento anni fa dai tratti, un po’ confusi, sbiaditi dal tempo. Ma forse proprio per questo ancor più ricca dì fascino.

Un tuffo nel passato

Siamo nella Piovene della prima metà del 1600. La Villa conta sette, ottocento rappresentate da un centinaio di capifamiglia ii. Molti lavorano la pietra e da lì traggono di che vivere. La fiorente attività, sviluppatasi soprattutto nel corso del secolo precedente allorché fu resa celebre dalle fabbriche palladiane, richiama molti forestieri. E proprio qui iniziavano i problemi. Gli abitanti originari, o oriundi, come si legge in alcuni documenti dell’epoca iii, non la vedevano di buon occhio. Già da lungo tempo esistevano in paese feroci dispute sull’utilizzo dei beni comuni. Boschi, prati e pascoli erano infatti indispensabili fonti di sostentamento e il loro uso obbediva a rigide regole e alle usanze da tempo tramandate dai padri iv. Chi non le rispettava veniva quindi punito. Tre lire piccole per il taglio della legna, il pascolo, la fienagione e il taglio dell’erba. Nel caso di pascolo abusivo, la sanzione era maggiorata di una lira e dieci soldi per ciascun capo trovato a pascolare, se bovino, asino, mulo o cavallo. Per le capre e le pecore, le cifre invece erano ridotte, rispettivamente, a dieci e cinque soldi per capo v. Ma le pene, in realtà, non erano molto severe e dove non arrivavano li Governatori del Comun con le ammende pecuniarie si ricorreva ad altri, meno civili, mezz dissuasione.

Una sepoltura… e il mistero sì infittisce

scheletroUna storia popolare racconta di un delitto compiuto dalle parti di Castel Manduca. Un pastore, non si sa bene per quali cause, fu ucciso e li, da qualche parte nascosto. Il luogo è conosciuto per le preziose testimonianze preistoriche restituiteci ed è, da sempre, sotto gli occhi di appassionati e ricercatori. Da una precisa segnalazione, due anni or sono viene riportata alla luce, una sepoltura. E’ uno scheletro, integro, inumato nella nuda terra, a pochi centimetri di profondità. Non vi è traccia di corredo. Secondo l’esame antropologico, appartiene ad un individuo di sesso maschile, di corporatura non robusta, alto circa un metro e sessantacinque, e non è antichissimo. Inoltre non proviene dall’area archeologica posta più sopra, sulla sommità del colle, ma da un luogo piuttosto defilato, non visibile dal paese, né da chi, a quel tempo, si fosse trovato a passare lungo la strada che conduceva alla Chiesa di Santa Maria de Monte Sumano. L’esame al carbonio data le ossa rinvenute alla metà del sedicesimo secolo, il tempo nel quale la vita della comunità spesso sfociava in liti e contese per l’uso dei terreni. Forse non sì tratta di una semplice coincidenza. Anche se probabilmente non potremmo mai averne la prova certa, l’ipotesi suggestiva che í resti ritrovati siano proprio di quell’incauto e sfortunato pastore di cinquecento anni fa, va volare l’immaginazione.

Tempi forti

Tempi forti, dunque. In gioco era la sopravvivenza quotidiana. Ma in qualche modo bisognava risolvere la questione dei forestieri. E così, verso la fine del Cinquecento, la Convicinìa Generale dei capi famiglia piovenesi e i Governatori decidono di riconoscere i diritti propri degli originari anche a quei forestieri che avessero abitato nel loco di Piovene per almeno dieci anni, ininterrottamente. Diversamente, avrebbero potuto acquisire i diritti unicamente per sia d’Accordo, in altre parole, pattuendo con i Governatori del Comune un versamento in danaro o realizzando un’opera pubblica di rilevante utilità. L’atto, del 2 febbraio 1597, è rogato dal notaio Stefano Grottovi. Alcuni anni più tardi, nel 1607, i Deputati del Comune di Vicenza concedono aí lavoratori, che hanno abitato e abiteranno per almeno dieci anni ininterrottamente nel Comune di Piovene, la facoltà di pascolare bestiame liberamente senza incorrere in sanzioni  vii. E’ un’ulteriore conquista per ì forestieri, ma rimangono ancora sotto la condizione di un preventivo accordo con i governatori del Comune altre importanti attività, come far legna, fieno e tagliar erba.

Anche il potere religioso cerca di scendere in campo nell’annosa vicenda. Il cappellano Giacomo Mantese, tenta una mediazione nella contesa tra il Comune e alcuni forestieri, una trentina in tutto. La somma pattuita è di 175 ducati, in media 5 o 6 ducati per famiglia, e verrà versata al Comune in due rate. I forestieri potranno così essere accettati per Terrieri in Commun con tutti i privilegij e beneficij che gode detto Comune. Ma, sfortunatamente per gli interessati, nel 1654, su richiesta del Comune, l’arbitrato viene dichiarato nullo dal Collegio dei Savi del Senato della Serenissima Repubblica. La sentenza stabilisce che esso Cappellano non può esser Giudice trà il Commun sudetto et altri. Ma con ogni probabilità la vera ragione era probabilmente di natura economica.

Qualche anno dopo, infatti, nel 1662, 99 capifamiglia riuniti in Convicinìa stabiliscono di ammettere al benefizio di pascolar e boscar Andrea Fracassi, con i suoi fratelli, e Giacomo Caneva da Rovegliana. Il prezzo dell’accordo è di 25 ducati per ciascuna delle due famiglie, cifra ben maggiore di quella pattuita dal Cappellano Giacomo Mantese viii.

L’Accordo col Commun

La Fontana della Guarda è con ogni probabilità il risultato di un Accordo tra un forestiero e i Governatori del Comune della Villa di Piovene, al fine di ottenere i benefici appannaggio degli originari. L’attento lavoro di restauro ha restituito importanti informazioni. Innanzitutto la data certa della costruzione, 1634, nel pieno svolgimento delle dispute per l’uso dei beni comuni, nella Piovene di quattro secoli fa. Poi una croce latina e due lettere, C e D. Croce, lettere e data sono scolpite sulla parte anteriore della vasca. La data è spezzata in due, secondo l’uso antico. 16 a sinistra della croce, 34 a destra. La vera del pozzo del Cenobio de Monte Siman del 1505, dove lo schema è pressoché identico, era sicuramente ben nota, all’autore della Fontana della Guarda.

Anche l’uso di apporre una croce su opere connesse con l’uso di un bene prezioso come l’acqua non é infrequente. Nella vera del pozzo di Contrada Levrena, oggi perduto ma ancora esistente nella seconda metà dell’800, era scolpita una croce. Le indagini, svolte con l’intervento di recupero, hanno inoltre confermato che la vasca, è un monolite, un pezzo unico in pietra di Piovene, interamente scavato da un abile e sapiente scalpellino del tempo. Don Egidio Mozzi, patriota Piovenese, come lui stesso si definiva, ci ha lasciato alcune pubblicazioni di storia locale. In uno dei suoi numerosi quaderni editi nella seconda metà dell’Ottocento, cita in tre punti la fontana. Nell’ultimo, il più interessante, ci informa sull’identità dell’autore dell’opera.

I forestieri che volevano essere aggregati ai Comunisti originarij, ci riferisce, è tradizione che dovessero eseguire qualche opera, a prova del loro ingegno e dell’arte che professavano. Il parapetto della fontana alla Guarda, si dice fatto ed eseguito da un Chioccarello tagliapietre in quell’occasione, e in obbedienza allo Statuto del Comune ix.

La lettera C che compare sulla vasca sembra confermare la notizia. Non solo. I Chioccarello erano effettivamente abili scalpellini del tempo x e divennero in seguito proprietari dei fondi adiacenti la fontana della Guarda, come documentato dall’antica mappa del catasto terreni, del 1894, custodita nell’archivio comunalexi. Sul nome, invece, ci sono pochi elementi. La lettera D potrebbe essere l’iniziale di Domenico, ma è solo un’ipotesi. Tuttavia, tra i novantadue capifamiglia che intervengono in una Convicinìa del 1682, come riportato in un manoscritto originale del tempo, figura anche un certo Dominicho Chiocharello, unico presente con quel cognome xii. E’ sempre un’ipotesi, ma anagraficamente le due date 1634 e 1682, non sono incompatibili Se si tratta veramente dell’autore della fontana della Guarda, dobbiamo concludere che quell’opera gli valse veramente l’assimilazione agli originari del Comune, con i privilegi conseguenti, tra cui la possibilità di partecipare alle Convicinìe, diritto, come noto, riservato agli originari.

La Fontana della Guarda

Non vi sono notizie sulla sua origine. Anche prima del 1634, in Contrà del Monte esisteva comunque una fontana. L’indicazione è riportata sulla mappa del 1605, attualmente conservata in Municipio. La tradizione popolare assegna tuttavia al luogo origini ben più lontane nel tempo. Secondo taluni all’epoca preistorica, assimilando il sito a quello non lontano di Bocca Lorenza, a Santorso, con il quale sì ritiene vi siano dei collegamenti. Una storia popolare narra di un maiale sfuggito al legittimo proprietario che, entrato nella grotta di Santorso, è inaspettatamente sbucato, qualche tempo dopo, proprio dal cunicolo della Guarda. Sulla denominazione della fontana non vi sono notizie certe. Secondo Nicoletta Panozzo, coautrice con Francesco Passuello nel 1977 di “Piovene Racchette. Cenni storici”, il nome deriva forse dalla sua collocazione geografica, posta com’è a mezzogiorno, o forse dal fatto che l’accesso ne era impedito da una porta chiusa con una solida serratura xiii. Il toponimo Guarda è tuttavia sicuramente di origine longobarda. Ward, significava posto di guardia e veniva usato per indicare luoghi sopraelevati destinati al controllo di una zona o di una via di comunicazione. Abbiamo, a tal riguardo, una ricca sequenza di toponimi derivati dal termine, lungo tutta la fascia pedemontana veneta. Del resto la fontana si trova non lontano dal punto in cui sorgeva Castel Pelluca, forse in preceaenza antico castelliere e luogo difeso anche nel periodo longobardo. Più semplicemente, quindi, da li potrebbe aver tratto origine il nome Guarda Ma si tratta, evidentemente, di supposizioni. Nel gergo popolare la fontana è chiamata anche la fontana dele anguàne. Il richiamo ai noti personaggi della mitologia popolare si conferma, anche in questo caso, strettamente legato all’acqua xiv. La carta della Villa de Piovene del 1605 testimonia di come, anticamente la portata della sorgente doveva essere effettivamente molto maggiore dell’attuale. Il documento indica infatti con notevole precisione i fondi che venivano irrigati dall’acqua che sgorgava dalla fonte. La sorgente è alimentata nel periodo invernale e primaverile per stillicidio raccolto all’interno della grotta naturale che sì origina dietro la fontana. L’acqua raccolta viene convogliata in una canalerta in pietra, attraverso la quale perviene all’esterno, nella vasca.

L’intervento di recupero

Nel 2001 la Comunità Montana Leogra-Timonchio avvia un programma di recupero delle testimonianze artistiche e storiche esistenti nel proprio territorio. Gli interventi riguardano opere d’arte figurativa, manufatti, fontane, sculture, capitelli, affreschi, di particolare pregio e significato. La fontana della Guarda versa in precarie condizioni, ma appare subito tra le opere maggiormente degne di attenzione. Viene inserita quindi negli interventi prioritari e si avvia il progetto di recupero che prevede un intervento radicale, non solo limitato alla parte lapidea.

Il recupero comporta dapprima un’accurata pulizia della vegetazione e dei rovi che invadevano completamente l’ingresso della grotta e il muro di sostegno circostante. Si procede poi con il consolidamento delle murature. Viene in particolare consolidata e ricostruita la volta della galleria, in alcuni punti crollata, in altri ridotta in condizioni di stabilità alquanto precarie. Si passa quindi alla pulizia delle parti in pietra esistenti, con il ricorso a microsabbiatura, e alla manutenzione della conduttura all’interno della volta; la vasca viene completamente restaurata ripristinando la tenuta e integrando sapientemente le parti mancanti. L’asportazione del terreno antistante rivela l’esistenza del ciottolato originario che viene quindi risistemato alla quota originale. L’intervento viene concluso nel mese di agosto dei 2004 con il ripristino della fontanella laterale e la predisposizione di caditoie in pietra e pozzetti per lo sgrondo delle acque piovane.

Buso della Guarda

Durante i lavori di recupero, sì decide di indagare la parte interna, la galleria e l’ambiente di raccolta dell’acqua. Con l’occasione viene fatto un rilevo completo dello sviluppo del cunicolo e della grotta comunicante. Il Gruppo Grotte di Schio effettua tre sopralluoghi tra il 12 ed il 19 agosto 2004. Appare evidente che la grotta per secoli ha visto scorrere l’acqua. Il pavimento e ricoperto da un diffuso strato di calcare di diversi centimetri. Ma di acqua, durante i sopralluoghi, nessuna traccia. Non si sente rumore di scorrimento d’acqua nemmeno in altri strati o cavità vicine e non è quindi possibile riportare l’antica fonte all’alveo originario. Nei periodi invernale e primaverile l’acqua arriva in grotta probabilmente filtrata dal terreno soprastante e attraverso uno sbocco ormai franato, situato ad una ventina di metri dall’ingresso. Come evidenziato dal rilievo effettuato da Franco Reghellin del Gruppo Grotte di Schio, la cavità presenta una prima parte artificiale, lunga una trentina di metri. Le pareti sono ricoperte da uno strato di malta e il soffitto ha una forma arcuata. In corrispondenza della fine della parte artificiale, nel punto del probabile ingresso della galleria originaria, sono stati rinvenuti dei graffiti: un disegno che rappresenta un uomo ed un animale, forse un bovino, con dei numeri o lettere (X I I e, più sotto, una V rovesciata con una 1) Pochi metri dopo, sulla destra, il disegno di un uomo stilizzato e sotto un segno (doppia T) xv. I graffiti sono attualmente allo studio per cercare di attribuirne con certezza l’origine. Successivamente la grotta si restringe e svolta a sinistra, facendosi stretta. Si arriva infine ad una stanza di circa 15-20 metri quadri, alta circa 5 metri. Dal soffitto parte un camino verticale che è percorribile solo per alcuni metri, finché si restringe del tutto, impedendo il passaggio. Nel tratto terminale qualcuno, che ha scordato gli attrezzi sul posto (una leva, una mazzetta ed uno scalpello in evidente stato di degrado) ha tentato dì scavare. Le pietre asportate giacciono ancora sul fondo della stanza.

Il Buso della Guarda, come viene battezzato dal Gruppo Grotte di Schio, si sviluppa complessivamente per 62 metri di lunghezza xvi.

i Vedi Documenti, foto 1. Non servono ulteriori commenti

ii Si tratta di un calcolo teorico. Il verbale di una convicinìa, (riunione di tutti i capifamiglia del Comune) del 20 marzo 1607 riporta la presenza di 95 capifamiglia. per essere ritenuta valida, la convicínìa doveva registrare la presenza di almeno í due terzi dei capifamiglia. Ipotìzzando che non tutti nell’occasione fossero presenti e un numero medio di 6 persone per nucleo familiare, si giunge a stimare un numero di abitanti compreso tra 650 e 1000.

iii AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, p. 4

iv AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, p. 5

v AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, pp. 9-10

vi AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, p. 6

vii AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, p. 13

viii AA.VV., Stampa LL CC di Piovene al taglio, Biblioteca Comunale Piovene, p. 14, 16, 23

ix E. MOZZI, Continuazione dell’appendice alle memorie patrie del piovenese, Padova, 1882, pp.. 23, 28, 61

x DIANA SPEROTTO, Le pietre, le cave, gli scalpellini di Piovene Rocchette, in Acqua e terra della Val Leogra. Sentieri culturali 3, Schio, 2004, pp. 12, 17

xi Vedi Documenti, allegato l

xii Archivio Comunale, busta Documenti storici l, Biblioteca Comunale Piovene; Prima di allora si ritrova la presenza di Chioccarello negli estimi del Comune a partire dal 1646, con un’annotazione che riguarda Zuane Chioccarello; Lo stesso si ritrova allibrato tra le 230 censite nell’estimo generale del 1650, approvato con decisione dei Governatori del Comune del 10 marzo 1650, Indizione terza in giorno di dobbia lì 10 dei mese de marzo

xiii F. PASSUELLO, N. PANOZZO, Piovene Rocchette. Cenni storici, Amministrazione comunale di Piovene Rocchette, 1977, p. 108

xiv G. RUBINI, Acqua magica. Immaginario fantastico popolare e anguàne a Piovene e nelle zone limitrofe, in Acqua e terra della Val Leogra, Sentieri culturali Schio, 2003. pp. 87-100

xv Documenti, foto 6

xvi vedi Documenti, disegno 1

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9 commenti su “Fontana della Guarda

  1. Agostino Toniolo
    13 febbraio 2015

    Ottima ricostruzione. Piovene ha una storia e dobbiamo scoprirla per lasciarla ai posteri.

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